Rawicz Slavomir (w2403)

Rawicz Slavomir (w2403)

  • Alias-Pseudonimo-Pseudonyme: -
  • Nationality-Nazionalità-Nationalité: Poland, Polonia, Polonie
  • Birth/death-Nascita/morte-Naissance/mort: 1915-2004
  • Means of transport-Mezzo di trasporto-Moyen de transport: On foot, A piedi, A pied
  • Geographical description-Riferimento geografico-Référence géographique: Various, Diversi, Différents
  • Internet: Visit Website
  • Wikidata: Visit Website
  • Additional references-Riferimenti complementari-Références complémentaires: Rawicz, Slavomir. 2011. Tra noi e la libertà. Milano: Corbaccio. Ne è stato tratto un film The Way Back, girato da regia Peter Weir nel 2012.

Con un inspiegabile ritardo di due anni, esce venerdì 6 luglio nelle sale italiane “The Way Back” di Peter Weir, un film con una fotografia seducente e location spettacolari (di cui parlo su Panorama Travel di luglio, in edicola). Il regista si è ispirato a una storia vera: quella di Slawomir Rawicz (1915-2004), prigioniero polacco in Siberia nel Gulag 303, da lì fuggito nel 1941 con alcuni compagni e  – dopo un viaggio tanto avventuroso quanto incredibile di 6500 chilometri a piedi – approdato nell’India britannica, dopo aver varcato l’Himalaya. La sua storia è narrata nel libro The Long Walk (1956), riedito in italiano da Corbaccio in occasione dell’uscita del film con il titolo Tra noi e la libertà.

La visione del film mi ha suscitato una serie di domande. Malgrado Weir abbia fatto del suo meglio per rendere la fatica e lo spossamento fisico di questi uomini, è davvero possibile percorrere 6500 chilometri in quelle condizioni, dal freddo estremo siberiano al calore e alla siccità desertica, e poi di nuovo le nevi eterne dell’Himalaya? Si trattava di giovani uomini, certo, ma comunque logorati dalla fatica del gulag e da un’alimentazione scadente e scarsa. E fuori dal campo di prigionia, nessuno era disposto ad aiutarli, come il film The Way Back mostra bene. Come si fa a percorrere 6500 chilometri mangiando per lunghi tratti cortecce di betulla e vermi? E come si fa a trascorrere giorni nel deserto del Gobi senza scorte d’acqua? Per non parlare dei piedi e della condizione delle scarpe!

Qualcuno obietterà che gli uomini da secoli viaggiano per migliaia di chilometri lungo le rotte carovaniere. È vero, ma le percorrono con i loro animali e con adeguate scorte di cibo e di acqua. Chi nel deserto termina l’acqua, arriva a bere il sangue del suo cammello per sopravvivere. Questo gruppo di fuggiaschi non ha avuto nulla su cui contare fino all’arrivo a Lhasa (dove ha ricevuto ospitalità e cibo dai locali). Quanto all’ultimo tratto – l’Himalaya attraversato durante la brutta stagione e senza una guida – ha dell’incredibile. Non ci sono certe di famosi cartelli gialli e blu del Club Alpino Svizzero a indicare destinazioni e distanze sui sentieri!

Dubbiosa, ho fatto un giro sul web. Per scoprire che in effetti, ben prima di me, altri avevano messo in dubbio la veridicità del racconto di Rawicz. Come scrive Patrick Symmes su Outside Magazine, non mancano le perplessità. Alcune legate anche a passaggi molto naif: come l’incontro con due yeti durante il tragitto sull’Himalaya (che Weir ha intelligentemente omesso)! Secondo gli archivi russi, invece, Rawicz sarebbe stato liberato dal gulag nel 1942, e dunque non avrebbe mai compiuto questa rocambolesca fuga.

Verità o bufala? Difficile dirlo. Mi sono goduta il film, e per curiosità affronterò anche il libro, per farmi un’idea di prima mano di un bestseller che ha catturato generazioni di lettori, che hanno comunque voluto credere al suo autore. Esattamente come anch’io, vedendo il film, sono stata sedotta da questa storia. E vorrei davvero che questa fuga verso la libertà, che mette in gioco coraggio, forza di volontà, solidarietà, resistenza fisica dell’essere umano, sia accaduta davvero.

http://mariatatsos.com/blog/the-way-back-fuga-dalla-siberia-verita-o-bufala/