Giovanni Giarrana: un militante infaticabile. Con tristezza il sindacato Unia ha appreso la scomparsa dell’amico e militante sindacale di lunga data Giovanni Giarrana. Il suo impegno per il nostro sindacato, dove in passato aveva ricoperto la carica di copresidente della commissione dei migranti, è stato per anni infaticabile. Solo nel marzo scorso aveva partecipato per Unia a Tunisi al Forum sociale mondiale, dove aveva organizzato un gruppo di lavoro sul tema dei profughi che arrivano sulle coste della Sicilia, sua isola natale.
Ralph Hug lo aveva ritratto nel libro «Il sindacato in movimento», pubblicato in occasione dei 10 anni di Unia. Ve ne proponiamo un riadattamento.
Il suo motto era «meglio morire al fronte che nel proprio letto». I suoi principi erano rossi sgargianti proprio come la maglietta che era solito indossare: già suo padre era socialista e lui lo era ancora di più. «Adesso deve finalmente succedere qualcosa!» era una delle sue frasi preferite.
Il primo sciopero lo aveva fatto quando frequentava la scuola professionale in Sicilia. Nell’istituto di meccanica mancavano gli attrezzi. Gli apprendisti erano bloccati e il direttore faceva spallucce. Dopo tre giorni di resistenza gli attrezzi sono arrivati. Da allora Giarrana ha capito che «uno dei grossi problemi italiani è la corruzione». Aveva anche imparato che chi protesta deve fare i conti con delle punizioni anche se ha ragione. Alla fine dell’anno scolastico invece di ricevere un nove si è visto assegnare solo un sette.
Già ai tempi dell’FLMO Giarrana presidiava la commissione dei migranti. «L’abbiamo spuntata contro la volontà di molti colleghi», ricordava. Quello della migrazione è stato il tema della sua vita. Ne ha viste di tutti i colori: l’atteggiamento ostile al confine svizzero di Chiasso, l’umiliazione dei controlli sanitari alla frontiera, la vita per otto anni nelle baracche, la discriminazione sul posto di lavoro e nella ricerca di un alloggio. Tutto questo lo aveva rafforzato nella convinzione che se si vuole migliorare bisogna combattere.
Lui non aveva mai voluto diventare un funzionario anche se lo avrebbero accolto a braccia aperte. «Il mio posto è nella base», affermava convinto. Se il sindacato non ha persone di fiducia nelle fabbriche non è niente. Esso vive se si sviluppa dal basso verso l‘alto e non viceversa.
Giarrana aveva lavorato molti anni alla Escher-Wyss come lo testimoniano le foto che lo ritraggono tra enormi turbine. Un bel giorno, quando ricopriva la carica di presidente della commissione di fabbrica, è stato licenziato per aver criticato davanti ad una folla il capo dell’impresa che voleva tagliare 200 posti di lavoro. Ciò che non era necessario, come aveva scoperto Giarrana. Uno come lui non cadeva per questo in depressione. Poco dopo aveva trovato un altro lavoro presso la Burkhard Compression a Oberwinterthur. Vi è rimasto sino al pensionamento nel 2009.
Invece di riposarsi sull’amaca, il giorno dopo ha cominciato un’azione spettacolare: ha percorso 2500 chilometri a piedi per raggiungere il suo villaggio natale in Sicilia. «Naturalmente si è trattato di una marcia di protesta», contro la guerra, per la pace e la solidarietà precisa. Le telecamera erano presenti al momento della partenza e dell’arrivo a Ravanusa, in provincia di Agrigento, dove era nato nel 1944.
Giovanni Giarrana era un uomo pieno di energia. Il suo dinamismo era contagioso e il suo sorriso più luminoso del sole della Sicilia. Sino alla fine ha lottato contro la xenofobia e la nuova esclusione.
«Trenta anni d’integrazione sono serviti a poco. Siamo stati troppo buoni». Adesso ci vogliono metodi più forti. Aveva in mente molte cose. Ma quello che gli sarebbe piaciuto di più era un giorno di sciopero colorato, allegro e simbolico da parte di tutte le migranti e tutti i migranti in Svizzera. Come lo sciopero delle donne del 1991. Per mostrare ai «cari svizzeri che senza di noi non funziona niente».
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