Non mangerò mai più cibo turco. La cucina era allestita nella piccola sala da pranzo, vicino al bazar, e si apriva sulla strada. Il cuoco era sudicio e così pure il tavolo, privo di tovaglia. Il tizio prese parecchie salcicce, le arrotolò intorno a un filo di ferro e le mise a cuocere sul fuoco di carbonella. Quando furono pronte, le posò di lato e un cane si fece mestamente avanti e le assaggiò dopo averle dapprima annusate, riconoscendo probabilmente i resti di un amico. Il cuoco gliele tolse di bocca e ce le mise di fronte. Jack disse: “Passo” – qualche volta gioca a euchre – e tutti a nostra volta passammo. Poi il cuoco mise nel forno un dolce di frumento largo e piatto, lo unse per bene con la salciccia e stava dirigendosi verso di noi, quando questo gli cadde per terra nel sudiciume. Lui allora lo raccolse, lo pulì sui calzoni e ce lo mise davanti. Jack disse: “Passo”. Tutti passammo. Mise a friggere delle uova in una padella e stette pensieroso a pulire con una forchetta dei pezzi di carne che aveva tra i denti. Quindi usò la stessa forchetta per girare le uova e ce la portò. Jack disse: “Di nuovo, passo”. Tutti lo seguimmo. Non sapevamo cosa fare, così ordinammo una nuova porzione di salcicce. Il cuoco tirò fuori il suo filo di ferro, vi arrotolò di nuovo una giusta dose di salcicce, si sputò sulle mani e ricominciò a lavorare. Questa volta rinunciammo tutti all’unisono. Pagammo e ce ne andammo via. Questo è tutto quello che ho imparato sul cibo turco. Una colazione turca è buona, senza dubbio, ma ha i suoi piccoli inconvenienti.
Twain, Mark. Innocents abroad. Hartford: American Pub. Co., 1881 (traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)