Viaggiare con cautela: Destinazioni da evitare
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Viaggiare con cautela: Destinazioni da evitare

Man mano che il mondo diventa sempre più accessibile, il fascino di esplorare ogni angolo del nostro pianeta diventa più forte. Tuttavia, non tutte le destinazioni sono consigliabili per i viaggi. Vari fattori come instabilità politica, problemi ambientali, rischi per la salute e questioni etiche possono trasformare certi luoghi in zone vietate per i viaggiatori responsabili, anche in passato. Qui di seguito figura una selezione di aforismi dedicati a questo tema.

Secondo la tradizione, da queste parti c'è tanta gente calva perché il vento sradica i capelli dalla testa nel momento in cui si mettono a correre dietro i loro cappelli. Nei pomeriggi d'estate le strade di Carson presentano di rado un aspetto inattivo e pigro, perché si vedono sempre molti cittadini saltellare intorno ai loro cappelli in fuga, come tante donne di servizio che tentino di decapitare un ragno.
Twain, Mark. Roughing It. Toronto: Musson, 1899.


Post-House, St. George, a sei leghe da Lione
Sono preciso nell’intestare questa lettera nella speranza che i viaggiatori inglesi possano evitare il luogo da cui scrivo, o fermandosi poco, o tenendosene lontani, dato che è la sola struttura del villaggio ad accogliere i viandanti, ed è la peggiore in cui mi sia imbattuto in tutto il viaggio.
Thicknesse, Philip. A Year’s Journey through France, and Part of Spain. London: Printed for W. Brown, 1789.

Non mangerò mai più cibo turco. La cucina era allestita nella piccola sala da pranzo, vicino al bazar, e si apriva sulla strada. Il cuoco era sudicio e così pure il tavolo, privo di tovaglia. Il tizio prese parecchie salcicce, le arrotolò intorno a un filo di ferro e le mise a cuocere sul fuoco di carbonella. Quando furono pronte, le posò di lato e un cane si fece mestamente avanti e le assaggiò dopo averle dapprima annusate, riconoscendo probabilmente i resti di un amico. Il cuoco gliele tolse di bocca e ce le mise di fronte. Jack disse: “Passo” – qualche volta gioca a euchre – e tutti a nostra volta passammo. Poi il cuoco mise nel forno un dolce di frumento largo e piatto, lo unse per bene con la salciccia e stava dirigendosi verso di noi, quando questo gli cadde per terra nel sudiciume. Lui allora lo raccolse, lo pulì sui calzoni e ce lo mise davanti. Jack disse: “Passo”. Tutti passammo. Mise a friggere delle uova in una padella e stette pensieroso a pulire con una forchetta dei pezzi di carne che aveva tra i denti. Quindi usò la stessa forchetta per girare le uova e ce la portò. Jack disse: “Di nuovo, passo”. Tutti lo seguimmo. Non sapevamo cosa fare, così ordinammo una nuova porzione di salcicce. Il cuoco tirò fuori il suo filo di ferro, vi arrotolò di nuovo una giusta dose di salcicce, si sputò sulle mani e ricominciò a lavorare. Questa volta rinunciammo tutti all’unisono. Pagammo e ce ne andammo via. Questo è tutto quello che ho imparato sul cibo turco. Una colazione turca è buona, senza dubbio, ma ha i suoi piccoli inconvenienti.
Twain, Mark. Innocents Abroad. Hartford: American Pub. Co., 1881.

Quando venne servita la cena, coraggiosamente entrai e mi sedetti alla sinistra del capitano. Ero assolutamente determinata a resistere ai miei impulsi, ma tuttavia in fondo al cuore avevo una debole, vaga sensazione di aver trovato qualcosa di più forte della mia volontà.
La cena cominciò molto piacevolmente. I camerieri di muovevano quasi senza far rumore, mentre l’orchestra suonava un’ouverture; il capitano Albers, bello e gioviale, prese posto a capotavola e i passeggeri che erano seduto al suo tavolo cominciarono a mangiare con lo stesso gusto di un ciclista entusiasta della bella strada. Ero l’unica al tavolo del capitano che si poteva definire marinaio d’acqua dolce. Ero amaramente conscia di questo fatto, come lo erano gli altri.
Potrei tranquillamente confessare che, mentre servivano la minestra, ero persa in pensieri dolorosi e invasa da uno sgradevole timore. Avvertivo che tutto era perfetto, come un regalo di Natale inatteso, e mi accinsi ad ascoltare i commenti entusiastici sulla musica fatti dai miei compagni, ma i miei pensieri erano rivolti a una questione che non ammetteva discussioni.
Avevo freddo, avevo caldo; sentivo che, se anche non avessi visto cibo per sette giorni, non avrei sofferto la fame; in realtà avevo un grande, vivo desiderio di non vederlo, non annusarlo, non mangiarlo sino a quando non avessi raggiunto la terraferma o un miglior controllo di me stessa.
Servirono il pesce e il capitano Albers era nel mezzo di una bella storia quando mi accorsi che non ce la facevo più. “Scusatemi” sussurrai debolmente e mi precipitai fuori di corsa, alla cieca. Fui scortata in un angolo remoto dove, dopo una breve riflessione e un piccolo sfogo delle mie emozioni fin lì trattenute, mi ripresi con coraggio, e decisi di accettare il consiglio del capitano tornando al pranzo interrotto.
“L’unico modo di vincere il mal di mare è sforzarsi di mangiare” aveva detto il capitano e decisi che il rimedio era abbastanza innocuo da poter essere sperimentato.
Al mio ritorno, si congratularono con me. Avevo la fastidiosa sensazione che mi sarei comportata di nuovo male, ma tentai di non darlo a vedere. Successe di lì a poco ed io sparii alla stessa velocità di prima.
Di nuovo ritornai. Questa volta i miei nervi erano traballanti e la fede nella mia determinazione si stava indebolendo. Mi ero appena seduta quando colsi un lampo divertito nell’occhio di un cameriere che mi fece seppellire il viso nel fazzoletto e soffocare prima che riuscissi ad allontanarmi dalla sala da pranzo.
I “brava” che gentilmente accolsero il mio terzo ritorno a tavola minacciarono di farmi di nuovo perdere il contegno. Fui felice di sapere che il pranzo era appena finito ed ebbi anche la sfacciataggine di dire che era stato molto buono!
Bly, Nellie. Around the World in Seventy-Two Days. New York: The Pictorial Weeklies Company, 1890.

S.O.S. Ho bisogno del vostro aiuto. Sono malato, prossimo alla morte, e troppo debole per andarmene a piedi. Sono solo, non è uno scherzo. In nome di Dio, vi prego, rimanete per salvarmi. Sono nei dintorni a raccogliere bacche e tornerò stasera. Grazie. Chris McCandless. Agosto?
Krakauer, Jon. Nelle Terre Estreme. 25a ed. Exploits. Milano: Corbaccio, 2013.

Arrivato sulla prima spiaggia del percorso mi devo immergere in mare, non tanto per il piacere di un bagno quanto per la necessità di levarmi la condensa tropicale detta altrimenti schifoso sudore presente sull'epidermide.
Dopo un bagno ristoratore riprendo la marcia alla volta della spiaggia Lopes Mendes che, secondo la infallibile Lonely Planet, potrebbe essere considerata come una delle migliori spiagge del Brasile.
Non sono mai stato un gran appassionato di spiagge e bagni al mare. Forse è per questo che Lopes Mendes mi ha ricordato molto una spiaggia visitata anni prima sull'Isola di Olanda, in Svezia
Ci sarebbe la possibilità di ritornare da Lopes Mendes a Vila de Abraao in barca, evitando sudore e serpenti. Ma penso che sia troppo "turistico" e mi accingo ad imboccare nuovamente il sentiero sotto lo sguardo allucinato di alcune persone spaparanzate in barca che, osservando me e un altro pugno di trekkisti maniaci che calzano scarpe cingolate, si domandano il classico: "ma chi glielo fa fare?".
Mentre ritorno, con la pelle coperta da uno schifoso misto di salsedine, sabbia, protettore solare e sudore mi viene da pensare se forse non facciano meglio quelli che trascorrono quindici giorni di vacanza a bordo piscina di un Grand Hotel sorseggiando un succo di tamarindo servito da un cameriere, senza questo gusto per l'avventura e la ricerca della "vacanza disagevole"...
Rucco, Dario. Da Capo a Capo Dalla Terra Del Fuoco in Alaska in Autobus. Milano: Greco&Greco, 2005.

In quei giorni (1950), Alice Springs aveva quattromila abitanti e rarissimi visitatori. Oggi è una prospera cittadina con venticinquemila abitanti ed è piena di visitatori -trecentocinquantamila all'anno- che naturalmente rappresentano il problema. Oggi potete arrivare in aereo da Adelaide in due ore, da Melbourne e Sydney in meno di tre. Potete avere un caffè espresso con il latte e comprare qualche opale e poi salire su un pullman turistico e percorrere la strada che conduce ad Ayers Rock. La città non è diventata solo accessibile, è diventata una destinazione. È così piena di motel, hotel, centri congressi, campeggi e località desertiche da visitare che non potete pretendere nemmeno per un momento di aver fatto qualcosa di eccezionale a venire fin qui. È davvero pazzesco. Una comunità che un tempo era celebre per essere remota ora attrae migliaia di visitatori che vengono a vedere quanto poco remota sia diventata.
Bryson, Bill. In Un Paese Bruciato Dal Sole l’Australia. 10a ed. Avventure 13. Milano: TEA, 2009.

La mattina siamo andati in macchina fino a Kibera: una marea di tetti di lamiera che si estende per quasi due chilometri a sud della città, lungo il versante di una collina avvolta da nubi di vapore. Kibera è la più grande baraccopoli di Nairobi e probabilmente di tutta l'Africa. Nessuno ha idea di quante persone ci vivano. Non meno di settecentomila, forse un milione o anche di più. A Kibera ci sono almeno cinquantamila bambini orfani a causa dell'AIDS. Almeno un quinto degli abitanti è sieropositivo, ma la cifra potrebbe sfiorare il cinquanta per cento. Nessuno lo sa. Non vi è nulla di certo né di ufficiale su Kibera, inclusa la sua esistenza. Non compare su nessuna mappa. Esiste e basta.
Bryson, Bill. Diario Africano. Quaderni Della Fenice. Parma: U. Guanda, 2003.

Nonostante i recenti miglioramenti, intraprendere un raid intercontinentale rimane una sorta di puzzle burocratico, nel quale il viaggiatore deve cercare di comporre l’intero quadro facendo combaciare tempi, luoghi e costi nel modo più efficace ed economico possibile. I pezzi che maneggerà sono i visti consolari, i permessi e documenti di altra natura, per sé e per il suo fedele compagno di  viaggio: il veicolo, che anche da questo punto di vista richiede attenzioni non indifferenti. Sarà un lavoro duro, fatto di code e attese interminabili, telefonate lunghe e dispensiose, fax e, da qualche anno, e-mail e nottate sugli instabili meandri di Internet. Un viaggio nel viaggio, quasi più estenuante della spedizione vera e propria.
Brovelli, Paolo. Sulle Ali Di Un Ape Da Lisbona a Pechino in 212 Giorni EurAsia Expedition 98. Exploits. Milano: Corbaccio, 2007.

Una volta andai a Minneapolis in auto, e decisi di fare la strada secondaria per godermi il paesaggio. Ma non c'era niente da vedere. Solamente una pianura bollente, campi di grano e soia,  una gran quantità di maiali. Di quando in quando si intravedeva una fattoria, o un paesino sonnolento, dove soltanto le mosche erano sveglie. Mi ricordo un rettilineo, di un paio di chilometri, tremolante nella calura, e in lontananza, sul ciglio della strada, un puntino scuro. Mi accorsi, avvicinandomi, che era un tale seduto su uno scatolone in un'aia di un paesino di quattro case, che poteva chiamarsi Letamaio o Pisciatoio. Osservava il mio arrivo con gli occhi fuori dalle orbite. Gli sfrecciai davanti e nel retrovisore vidi che il suo sguardo mi seguiva, finché non sparii nella foschia. Fu questione di cinque minuti, ma non mi sorprenderebbe sapere che ogni tanto quell'uomo ripensa a me.
Bryson, Bill. America Perduta in Viaggio Attraverso Gli U.S.A. Narrativa Di Viaggio. Milano: Feltrinelli Traveller, 1993.