Rucco Dario, Ma chi glielo fa fare?

Arrivato sulla prima spiaggia del percorso mi devo immergere in mare, non tanto per il piacere di un bagno quanto per la necessità di levarmi la condensa tropicale detta altrimenti schifoso sudore presente sull'epidermide.
Dopo un bagno ristoratore riprendo la marcia alla volta della spiaggia Lopes Mendes che, secondo la infallibile Lonely Planet, potrebbe essere considerata come una delle migliori spiagge del Brasile.
Non sono mai stato un gran appassionato di spiagge e bagni al mare. Forse è per questo che Lopes Mendes mi ha ricordato molto una spiaggia visitata anni prima sull'Isola di Olanda, in Svezia
Ci sarebbe la possibilità di ritornare da Lopes Mendes a Vila de Abraao in barca, evitando sudore e serpenti. Ma penso che sia troppo "turistico" e mi accingo ad imboccare nuovamente il sentiero sotto lo sguardo allucinato di alcune persone spaparanzate in barca che, osservando me e un altro pugno di trekkisti maniaci che calzano scarpe cingolate, si domandano il classico: "ma chi glielo fa fare?".
Mentre ritorno, con la pelle coperta da uno schifoso misto di salsedine, sabbia, protettore solare e sudore mi viene da pensare se forse non facciano meglio quelli che trascorrono quindici giorni di vacanza a bordo piscina di un Grand Hotel sorseggiando un succo di tamarindo servito da un cameriere, senza questo gusto per l'avventura e la ricerca della "vacanza disagevole"...

Rucco, Dario. Da capo a capo dalla Terra del Fuoco in Alaska in autobus. Milano: Greco&Greco, 2005.

Rucco Dario, Crocieristi che sbarcano

A Roseau assisto allo spettacolo avvilente dei crocieristi che sbarcano. E non lo dico certo per l'invidia di non potermi permettermi una crociera del genere! Ogni giorno una o più navi cariche di turisti europei o nordamericani attraccano al porto della capitale di un'isola caraibica. Per evitare di saturare l'isola, i partecipanti alla crociera vengono fatti sbarcare secondo un rigoroso ordine in gruppi numerati.
Ogni gruppo dispone di un tempo limitato per l'escursione a terra. Si vede gente solitamente molto anziana e obesa, rigorosamente con pantaloncini corti, gambe bianchissime, sandali preferibilmente con calzino, cappellino con visiera, un paio di macchine fotografiche o/o una videocamera a tracolla. Sul viso l'espressione da zombi. Purtroppo dopo essere sbarcati già in cinque o sei luoghi simili hanno l'aria smarrita non sapendo neanche più loro dove si trovino questa volta. Entrano come degli automi nei negozi di souvenir dove comperano qualche decina di magliette con stampato il nome dell'isola che pensano di regalare agli amici facendo loro una gradita sorpresa e altre cazzate con le quali riempiranno varie borse che non riesco a capire dove riusciranno a sistemare nelle loro cabine a bordo della nave.
Ogni tanto si nota anche qualche coppietta molto giovane ancora più smarrita. Pensavano di farsi una crociera, come raccontava lo spot pubblicitario, con serate danzanti in mezzo a giovani spensierati ed eventualmente qualche attore o personaggio sportivo VIP, ma si ritrovano in mezzo a persone di una quarantina di anni più anziani di loro che vanno a letto alle nove.
Si sente lei che dice a lui: "La prossima volta però andiamo in quel villaggio turistico dove la mia amica si è divertita tanto...".
Lui invece sta pensando al sistema per andare di nascosto a Cuba, della quale alcuni amici single gli hanno raccontato meraviglie...

Rucco, Dario. Da capo a capo dalla Terra del Fuoco in Alaska in autobus. Milano: Greco&Greco, 2005.

Heat Moon William Least, Chi può dire quando comincia un viaggio

- Ecco come si comincia, - disse il mio amico, un marinaio d'acque profonde, uno di quelli che chiamerò Pilotis. Naturalmente non era quello il vero inizio. Chi può dire quando comincia un viaggio - non il movimento, ma il sogno del viaggio, che preme per farsi strada verso la realtà? Per questo viaggio in particolare posso citare un possibile incipit: sono un lettore di cartine, di solito non si tratta di carte nautiche, ma di carte stradali. Leggo le cartine come altri leggono le Sacre Scritture, lo stesso testo più e più volte, alla ricerca di una rivelazione; i libri che ho scritto cominciano tutti col mio sguardo che vaga sulle cartine del territorio americano. A casa ho un vecchio atlante stradale, talmente consumato che l'ho fatto rilegare, le pagine sono cosi lisce per quanto le ho tenute fra le dita che sospirano quando le giro. Ho evidenziato in giallo ogni strada che ho percorso, le pagine sono fitte di segni, ormai posso dire di aver visitato tutte le contee degli Stati Uniti continentali, Alaska esclusa, tranne una manciata nel profondo Sud dove andrò ben presto. Mettete un dito a caso su un punto qualsiasi della cartina degli Stati Uniti e io ci sono stato, o comunque sono stato a non più di quaranta chilometri di distanza, con l'eccezione dei deserti del Nevada, dove lo scarto può essere doppio. Non l'ho fatto di proposito, è capitato da sé, in quarant' anni dedicati a memorizzare il volto dell' America. Se qualcuno parla di Pawtucket o Cross Creek o Marfa voglio che mi appaia un'immagine dei miei viaggi; quando leggo luogo e data all'inizio di un articolo di giornale su Jackson Hole voglio che sia presente dentro di me l'orizzonte frastagliato del Teton e un penetrante profumo di pinon. Un abitante della Pennsylvania potrebbe chiedermi «Hai visto la taverna storica di Scenery Hill ?». E io voglio potergli rispondere: «Come sta il fantasma? Sono sempre buoni i cartocci di lievito?» Le parole che maggiormente hanno influenzato la mia vita sono quelle dell'autorevole Thomas Fuller, illustre storico della vecchia Inghilterra: «Conosci più che puoi il tuo paese d'origine prima di affacciarti oltre i suoi confini».
Vent' anni fa avevo già percorso cosi tanti chilometri di strade americane che sapevo ormai in agguato il giorno in cui non avrei più potuto prendere il volo verso posti nuovi - come Huck Finn, originario del Missouri come me, nonché viaggiatore fluviale. Fu allora che notai la ragnatela di linee azzurro pallido che ricamavano il mio atlante come vene varicose. Erano fiumi. Cominciai a seguire col dito quelle contorsioni, alla ricerca di un modo per attraversare l'America in barca. Dapprima fui semplicemente curioso di sapere se fosse possibile o meno effettuare un simile viaggio senza uscire dall'acqua troppe volte e per tratti troppo lunghi, ma poi presi a pensare con interesse crescente a come sarebbe apparsa l'America vista dai fiumi e a desiderare di poter osservare quei luoghi segreti nascosti a chi viaggia sulle strade. Un viaggio del genere mi avrebbe permesso senz' altro di accedere a nuovi territori e a più vaste conoscenze, ma non fui capace di trovare una via fluviale attraverso il continente che non comportasse molti chilometri di trasbordo e un ampio ricorso ad acque di frontiera - il Golfo del Messico o i Grandi Laghi. Io volevo una via che solcasse la nazione dall'interno.

Heat Moon, William Least. Nikawa diario di bordo di una navigazione attraverso l’America. Torino: Einaudi, 2002.

Heat Moon William Least, Andare a ovest

A Portsmouth l'Ohio cessa quasi del tutto di scorrere a sud e punta decisamente a ovest, mantenendo quella direzione per più di centosessanta chilometri; questi particolari topografici ci regalavano la sensazione di raggiungere un risultato e rafforzavano la nostra volontà di proseguire, volontà che veniva messa a dura prova ogni volta che davamo un'occhiata alla cartina degli Stati Uniti e vedevamo quanta strada ci restava da fare. Ogni tanto ci mettevamo a parlare di esploratori, pionieri, viaggiatori dei tempi andati, della natura, del fatto che l'America, forse più di ogni altra nazione, aveva costruito se. stessa e molti dei suoi miti sull'espansione verso ovest, un'idea molto presente allora come adesso, nonché fonte del più potente topos della nostra storia: il viaggio. Andare a ovest era un istinto ovvio in un paese i cui abitanti avevano tutti gli antenati nell'emisfero orientale e i cui leader consideravano l'espansione verso occidente come un destino inevitabile da realizzare per il bene dell'umanità, senza preoccuparsi troppo della gente che da quelle parti ci viveva già e ogni tanto si trovava fra i piedi. Il destino degli americani era di partire verso il mare, dove tramonta il sole, di prendere la terra e rimodellarla a propria immagine e somiglianza. Noi, cosi prosegue il ritornello della nostra storiografia, discendenti di un ipotetico giardino dell'Eden, avevamo il compito di crearne uno nuovo di zecca.

Heat Moon, William Least. Nikawa diario di bordo di una navigazione attraverso l’America. Torino: Einaudi, 2002.

Bryson Bill, Vedere le cose quando è ancora possibile

Parcheggiai la macchina in una strada laterale e camminai lungo la marina, passando davanti alle vetrine di negozi di inattesa pomposità: Prada, Hermès, Ralph Lauren. Tutto perfettamente elegante. Solo che non c'era nulla di interessante. Non avevo bisogno di farmi tredicimila chilometri per dare un'occhiata agli asciugamani da bagno di Ralph lauren. Forse è il mio innato pessimismo, ma ho come l'impressione che viaggiare ai nostri giorni significhi soprattutto vedere le cose quando è ancora possibile.

Bryson, Bill. In un paese bruciato dal sole l’Australia. 10a ed. Milano: TEA, 2009.

Bryson Bill, Alice Springs

In quei giorni (1950), Alice Springs aveva quattromila abitanti e rarissimi visitatori. Oggi è una prospera cittadina con venticinquemila abitanti ed è piena di visitatori -trecentocinquantamila all'anno- che naturalmente rappresentano il problema. Oggi potete arrivare in aereo da Adelaide in due ore, da Melbourne e Sydney in meno di tre. Potete avere un caffè espresso con il latte e comprare qualche opale e poi salire su un pullman turistico e percorrere la strada che conduce ad Ayers Rock. La città non è diventata solo accessibile, è diventata una destinazione. È così piena di motel, hotel, centri congressi, campeggi e località desertiche da visitare che non potete pretendere nemmeno per un momento di aver fatto qualcosa di eccezionale a venire fin qui. È davvero pazzesco. Una comunità che un tempo era celebre per essere remota ora attrae migliaia di visitatori che vengono a vedere quanto poco remota sia diventata.

Bryson, Bill. In un paese bruciato dal sole l’Australia. 10a ed. Milano: TEA, 2009.

Bryson Bill, Kibera

La mattina siamo andati in macchina fino a Kibera: una marea di tetti di lamiera che si estende per quasi due chilometri a sud della città, lungo il versante di una collina avvolta da nubi di vapore. Kibera è la più grande baraccopoli di Nairobi e probabilmente di tutta l'Africa. Nessuno ha idea di quante persone ci vivano. Non meno di settecentomila, forse un milione o anche di più. A Kibera ci sono almeno cinquantamila bambini orfani a causa dell'AIDS. Almeno un quinto degli abitanti è sieropositivo, ma la cifra potrebbe sfiorare il cinquanta per cento. Nessuno lo sa. Non vi è nulla di certo né di ufficiale su Kibera, inclusa la sua esistenza. Non compare su nessuna mappa. Esiste e basta.

Bryson, Bill. Diario africano. Parma: U. Guanda, 2003.

Ollivier Bernard, Solitudine

E sarò in grado di combattere gli oscuri abissi della solitudine che mi attende e di dominarne le delizie? E, soprattutto, saprò trarne profitto? Perchè questa solitudine non è una fuga, ma è una libera scelta. È una lavagna su cui scriverò il seguito. Un campo nel quale pianterò pensieri, spinosi o lisci, che sbocceranno pienamente soltanto al ritorno.
Ma chi dice che il ritorno sarà così certo? Mi lancio in questa avventura non senza qualche pensiero sulla mia morte.

Ollivier, Bernard. La lunga marcia. Milano: Feltrinelli Traveller, 2002.

Ollivier Bernard, Il viaggio a piedi

Il viaggio a piedi, in solitaria, pone l’uomo di fronte a se stesso, lo libera dal vincolo del corpo, dall’ambiente abituale che lo trattiene all’interno di una visione del mondo scontata, ragionevole e condizionata. I pellegrini si sentono quasi sempre cambiati dopo un cammino così lungo, proprio perché hanno trovato una parte di se stessi che forse non avrebbero mai scoperto senza quel lungo faccia a faccia. Ed è anche il motivo per cui bisogna privilegiare il cammino solitario, il che non impedisce di ritrovare con piacere gli amici ad ogni tappa. Qui sta il vantaggio che hanno su di me il pellegrino o il carovaniere sulla via della seta. La sera, con gli altri viandanti, anche se non condividono credenze, fatiche e scoperte, possono scambiare, paragonare sensazioni, stupori, sottoporre a critica le idee che hanno sviluppato durante il giorno.

Ollivier, Bernard. La lunga marcia. Milano: Feltrinelli Traveller, 2002.

Lapierre Dominique, Destino di uomo

Questo libro è il semplice diario di viaggio di un giovane europeo di diciotto anni sfuggito da poco alle minacce e alle privazioni della Seconda guerra mondiale, che parte alla scoperta del nuovo mondo. Certe descrizioni e molte delle riflessioni via via annotate in queste pagine potranno sembrare ingenue e perfino puerili. Ma il lettore di oggi accetti di seguirmi con indulgenza sulle strade del mondo, cercando di immaginare le condizioni di viaggio nell'estate del 1949, epoca alla quale risale il mio racconto. Un'epoca in cui gli aerei non attraversavano ancora l'Atlantico. Un'epoca in cui la televisione non aveva ancora cominciato ad avvicinare i popoli e a omologare usi e costumi. Un'epoca in cui perfino il telefono era un oggetto eccezionale. In tre mesi di lontananza non parlai mai al telefono con i miei genitori. Ma sono felice e fiero di dirlo: aprendomi le porte del mondo, stimolando la mia curiosità, costringendomi a superare le mie paure di adolescente, quel primo grande viaggio fu il più bel regalo che il cielo potesse offrirmi all'alba del mio destino di uomo.

Lapierre, Dominique. Un dollaro mille chilometri. Milano: il Saggiatore, 2003.

Le Breton David, La terra è rotonda

La terra è rotonda, e facendone tranquillamente il giro ci si ritrova un giorno al punto di partenza, già pronti per un altro viaggio. Quanti sono i sentieri, le strade, i villaggi, le città, le colline, i boschi, i mari, i deserti, tanti sono i percorsi per raggiungerli, sentirli, osservarli, per abbracciare la memoria nell’esultanza di essere in quel luogo. I sentieri, la terra, la sabbia, le rive del mare, perfino le pietre e il fango, sono a misura del corpo e del brivido di esistere.

Le Breton, David. Il mondo a piedi elogio della marcia. 6a ed. Milano: Feltrinelli, 2011.

Le Breton David, Cose essenziali

Viaggiare a piedi significa limitarsi all’uso delle cose essenziali. Il carico da portare deve essere ridotto all’osso: il minimo di indumenti e accessori, qualcosa per fare il fuoco e non morire di freddo, qualche strumento di segnalazione, del cibo, a volte delle armi, naturalmente dei libri. Ogni concessione al superfluo si paga in termini di fatica, di sudore, di rabbia. Camminare significa mettersi a nudo, scoprirsi in un faccia a faccia con il mondo.

Le Breton, David. Il mondo a piedi elogio della marcia. 6a ed. Milano: Feltrinelli, 2011.

Löfgren Orvar, Che cos’è un turista

“Che cos’è un turista?” si domandava l’autore svedese Carl Jonas Love Almqvist in una serie di resoconti giornalistici da Parigi nel lontano 1840. A quell’epoca la parola “turista” indicava un concetto ancora nuovo, importato dalla Gran Bretagna e circondato da un discreto alone di curiosità. Che cos’è un turista e come lo si diventa? Stava emergendo una nuova forma di consumismo, basata sull’idea di lasciare la casa e il lavoro alla ricerca di nuove esperienze, di piacere e di svago.

Löfgren, Orvar. Storia delle vacanze. Milano: B. Mondadori, 2001.

Onfray Michel, Come scegliere un luogo?

Ci troviamo immediatamente di fronte a uno strano paradosso: è il planisfero che appare minuscolo e il mondo vasto, o è vero l’inverso, ed è il planisfero che appare vasto mentre il mondo è minuscolo? Perché, confidando nella modernità dei trasporti, ogni luogo può essere ormai raggiunto in tempi molto decorosi, nonostante la sua natura e distanza. I luoghi anticamente più remoti (l’India di Marco Polo, l’Africa di René Caillié, l’Oriente di Nerval, l’Oceania di Bougainville) oggi possone essere raggiunti per vie d’accesso tracciate su mappe ormai definitivamente prive di chiazze bianche. Qualsiasi destinazione è diventata accessibile: è solo questione di tempo. In questo campo del possibile, come scegliere un luogo? E quale? A quale rinunciare? E per quali ragioni? Tra le combinazioni pensabili, quali prediligere e perché?

Onfray, Michel. Filosofia del viaggio poetica della geografia. Milano: Ponte alle Grazie, 2010.