Jebb Louisa, Non ci mancava nulla

Tentai di ricordare che cosa volesse dire vivere nella civiltà, ma tutto quello che mi tornò alla mente fu come fosse stato difficile staccarmene. Mentre eravamo ancora lì, non sapevamo che cosa avremmo potuto volere altrove. Ma, una volta lontane, ogni difficoltà era scomparsa; d’improvviso ci sembrò che tutto accadesse naturalmente. Non ci mancava nulla di quello che ci eravamo lasciate alle spalle. E siccome era stato difficile distaccarcene quando ancora ci vivevamo, ora avevamo delle difficoltà a tornarci.

Jebb, Louisa. By Desert Ways to Baghdad and Damascus. London: T. F. Unwin, 1909.

Globetrotter nel Ticino

A Lugano-Paradiso alcune settimane or sono la polizia ha fermato un globetrotter che di nottetempo si era introdotto nel giardino d'una villa mettendo in allarme il cane da guardia e i proprietari. Il disgraziato è stato rinviato al suo paese d'origine: la Germania. Identica sorte hanno avuto a Locarno cinque di questi giramondo che, essendo risultati privi di mezzi di sussistenza, sono stati rispediti al loro paese. Tempi poco lieti per chi vuol girare per il mondo a tasche vuote, quelli che attraversiamo. Non c'è da meravigliarsi perciò se anche nel Ticino questi uccelli spennacchiati di passo sono oggetto di speciali attenzioni da parte della polizia, anche perchè quest'ultima - come abbiamo appreso da un rapporto dipartimentale - deve tenere conto del fatto che alla frontiera del sud non si scherza con questi tardi epigoni di Erodoto e di San Francesco, i quali debbono provare di avere una congrua scorta di denaro per essere ammessi entro i confini del Regno. A pregiudicare la situazione di questi turisti che non recano alcun apporto al commercio del paese ha contribuito la circostanza che alcuni di costoro si sono mostrati degli indesiderabili, sia perchè importunano il prossimo con le loro querimonie, sia perchè hanno idee quanto mai imprecise in fatto di tuo e di mio.

Baudelaire Charles, Il viaggio

A Maxime Du Camp 

Il viaggio I

Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l´universo è pari al suo smisurato appetito. 
Com´è grande il mondo al lume delle lampade!
Com´è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!
Un mattino partiamo, il cervello in fiamme,
il cuore gonfio di rancori e desideri amari,
e andiamo, al ritmo delle onde, cullando
il nostro infinito sull´infinito dei mari:
c´è chi è lieto di fuggire una patria infame;
altri, l´orrore dei propri natali, e alcuni,
astrologhi annegati negli occhi d´una donna,
la Circe tirannica dai subdoli profumi.
Per non esser mutati in bestie, s´inebriano
di spazio e luce e di cieli ardenti come braci;
il gelo che li morde, i soli che li abbronzano,
cancellano lentamente la traccia dei baci.
Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s´allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!
I loro desideri hanno la forma delle nuvole,
e, come un coscritto sogna il cannone,
sognano voluttà vaste, ignote, mutevoli
di cui lo spirito umano non conosce il nome!

II
Imitiamo, orrore! nei salti e nella danza
la palla e la trottola; la Curiosità, Angelo
crudele che fa ruotare gli astri con la sferza,
anche nel sonno ci ossessiona e ci voltola.
Destino singolare in cui la meta si sposta;
se non è in alcun luogo, può essere dappertutto;
l´Uomo, la cui speranza non è mai esausta,
per potersi riposare corre come un matto!
L´anima è un veliero che cerca la sua Icaria;
una voce sul ponte: «Occhio! Fa´ attenzione!»
Dalla coffa un´altra voce, ardente e visionaria:
«Amore… gioia… gloria!» È uno scoglio, maledizione!
Ogni isolotto avvistato dall´uomo di vedetta
è un Eldorado promesso dal Destino;
ma la Fantasia, che un´orgia subito s´aspetta,
non trova che un frangente alla luce del mattino.
Povero innamorato di terre chimeriche!
Bisognerà incatenarti e buttarti a mare,
marinaio ubriaco, scopritore d´Americhe
il cui miraggio fa l´abisso più amaro?
Così il vecchio vagabondo cammina nel fango
sognando paradisi sfavillanti col naso in aria;
il suo sguardo stregato scopre una Capua
ovunque una candela illumini una topaia

III
Strabilianti viaggiatori! Quali nobili storie
leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare!
Mostrateci gli scrigni delle vostre ricche memorie,
quei magnifici gioielli fatti di stelle e di etere.
Vogliamo navigare senza vapore e senza vele!
Per distrarci dal tedio delle nostre prigioni,
fate scorrere sui nostri spiriti, tesi come tele,
i vostri ricordi incorniciati d´orizzonti.
Diteci, che avete visto?

IV
«Abbiamo visto astri
e flutti; abbiamo visto anche distese di sabbia;
e malgrado sorprese e improvvisi disastri,
molte volte ci siamo annoiati, come qui.
La gloria del sole sopra il violaceo mare,
la gloria delle città nel sole morente,
accendevano nei nostri cuori un inquieto ardore
di tuffarci in un cielo dal riflesso seducente.
Le più ricche città, i più vasti paesaggi,
non possedevano mai gl´incanti misteriosi
di quelli che il caso creava con le nuvole.
E sempre il desiderio ci rendeva pensosi!
- Il godimento dà al desiderio più forza.
Desiderio, vecchio albero che il piacere concima,
mentre s´ingrossa e s´indurisce la tua scorza,
verso il sole si tendono i rami della tua cima!
Crescerai sempre, grande albero più vivace
del cipresso? – Eppure con scrupolo abbiamo
raccolto qualche schizzo per l´album vorace
di chi adora tutto ciò che vien da lontano!
Abbiamo salutato idoli dal volto proboscidato;
troni tempestati di gemme luminose;
palazzi cesellati il cui splendore fatato
sarebbe per i vostri cresi un sogno rovinoso;
costumi che per gli occhi son un´ebbrezza;
donne che hanno dipinte le unghie e i denti,
e giocolieri esperti che il serpente accarezza.»

V
E poi, e poi ancora?

VI
«O infantili menti!
Per non dimenticare la cosa principale,
abbiam visto ovunque, senza averlo cercato,
dall´alto fino al basso della scala fatale,
il noioso spettacolo dell´eterno peccato;
la donna, schiava vile, superba e stupida,
s´ama senza disgusto e s´adora senza vergogna;
l´uomo, tiranno ingordo, duro, lascivo e cupido,
si fa schiavo della schiava, rigagnolo di fogna;
il martire che geme, il carnefice contento;
il popolo innamorato della brutale frusta;
il sangue che dà alla festa aroma e condimento,
il veleno del potere che snerva il despota;
tante religioni che alla nostra somigliano,
tutte che scalano il Cielo; la Santità,
come un uomo fine su un letto di piume,
fra i chiodi e il crine cerca la voluttà;
l´Umanità ciarlona, ebbra del suo genio,
e delirante, adesso come in passato,
nella sua furibonda agonia urla a Dio:
«Mio simile, mio padrone, io ti maledico!»
E i meno stolti, della Demenza arditi accoliti,
in fuga dal grande gregge recinto dal Destino,
per trovare rifugio nell´oppio senza limiti!
- Questo del globo intero l´eterno bollettino.»

VII
Dai viaggi che amara conoscenza si ricava!
Il mondo monotono e meschino ci mostra,
ieri e oggi, domani e sempre, l´immagine nostra:
un´oasi d´orrore in un deserto di noia!
Partire? restare? Se puoi restare, resta;
parti, se devi. C´è chi corre, e chi si rintana
per ingannare quel nemico che vigila funesto,
il Tempo! Qualcuno, ahimè! corre senza sosta,
come l´Ebreo errante e come l´apostolo,
al quale non basta treno o naviglio,
per fuggire l´infame reziario; e chi invece
sa ucciderlo senza uscire dal nascondiglio.
Infine quando ci metterà il piede sulla schiena,
potremo sperare e urlare: Avanti!
E come quando partivamo per la Cina,
gli occhi fissi al largo e i capelli al vento,
così c´imbarcheremo sul mare delle Tenebre
col cuore del giovane che è felice di viaggiare.
Di quelle voci ascoltate il canto funebre
e seducente: «Di qui! Voi che volete assaporare
il Loto profumato! è qui che si vendemmiano
i frutti prodigiosi che il vostro cuore brama;
venite a inebriarvi della dolcezza strana
di questo pomeriggio che non avrà mai fine!»
Dal tono familiare riconosciamo lo spettro;
laggiù i nostri Piladi ci tendon le braccia.
«Per rinfrescarti il cuore naviga verso la tua Elettra!»
dice quella cui un tempo baciavamo le ginocchia.

VIII
“O Morte, vecchio capitano, è tempo!
Sù l´ancora!
Ci tedia questa terra, o Morte!
Verso l´alto, a piene vele!
Se nero come inchiostro
è il mare e il cielo,
sono colmi di raggi
i nostri cuori, e tu lo sai!
Su, versaci il veleno
perché ci riconforti!
E tanto brucia nel cervello
il suo fuoco,
che vogliamo tuffarci nell´abisso
Inferno o Cielo cosa importa ?
discendere l´Ignoto nel trovarvi
nel fondo alfine il nuovo!


(fonte: www.archiviobolano.it)

Versione originale in francese:
À Maxime du Camp
I
Pour l'enfant, amoureux de cartes et d'estampes,
L'univers est égal à son vaste appétit.
Ah! que le monde est grand à la clarté des lampes!
Aux yeux du souvenir que le monde est petit!
Un matin nous partons, le cerveau plein de flamme,
Le coeur gros de rancune et de désirs amers,
Et nous allons, suivant le rythme de la lame,
Berçant notre infini sur le fini des mers:
Les uns, joyeux de fuir une patrie infâme;
D'autres, l'horreur de leurs berceaux, et quelques-uns,
Astrologues noyés dans les yeux d'une femme,
La Circé tyrannique aux dangereux parfums.
Pour n'être pas changés en bêtes, ils s'enivrent
D'espace et de lumière et de cieux embrasés;
La glace qui les mord, les soleils qui les cuivrent,
Effacent lentement la marque des baisers.
Mais les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partent
Pour partir; coeurs légers, semblables aux ballons,
De leur fatalité jamais ils ne s'écartent,
Et, sans savoir pourquoi, disent toujours: Allons!
Ceux-là dont les désirs ont la forme des nues,
Et qui rêvent, ainsi qu'un conscrit le canon,
De vastes voluptés, changeantes, inconnues,
Et dont l'esprit humain n'a jamais su le nom!
II
Nous imitons, horreur! la toupie et la boule
Dans leur valse et leurs bonds; même dans nos sommeils
La Curiosité nous tourmente et nous roule
Comme un Ange cruel qui fouette des soleils.
Singulière fortune où le but se déplace,
Et, n'étant nulle part, peut être n'importe où!
Où l'Homme, dont jamais l'espérance n'est lasse,
Pour trouver le repos court toujours comme un fou!
Notre âme est un trois-mâts cherchant son Icarie;
Une voix retentit sur le pont: «Ouvre l'oeil!»
Une voix de la hune, ardente et folle, crie:
«Amour... gloire... bonheur!» Enfer! c'est un écueil!
Chaque îlot signalé par l'homme de vigie
Est un Eldorado promis par le Destin;
L'Imagination qui dresse son orgie
Ne trouve qu'un récif aux clartés du matin.
Ô le pauvre amoureux des pays chimériques!
Faut-il le mettre aux fers, le jeter à la mer,
Ce matelot ivrogne, inventeur d'Amériques
Dont le mirage rend le gouffre plus amer?
Tel le vieux vagabond, piétinant dans la boue,
Rêve, le nez en l'air, de brillants paradis;
Son oeil ensorcelé découvre une Capoue
Partout où la chandelle illumine un taudis.
III
Etonnants voyageurs! quelles nobles histoires
Nous lisons dans vos yeux profonds comme les mers!
Montrez-nous les écrins de vos riches mémoires,
Ces bijoux merveilleux, faits d'astres et d'éthers.
Nous voulons voyager sans vapeur et sans voile!
Faites, pour égayer l'ennui de nos prisons,
Passer sur nos esprits, tendus comme une toile,
Vos souvenirs avec leurs cadres d'horizons.
Dites, qu'avez-vous vu?
IV
«Nous avons vu des astres
Et des flots, nous avons vu des sables aussi;
Et, malgré bien des chocs et d'imprévus désastres,
Nous nous sommes souvent ennuyés, comme ici.
La gloire du soleil sur la mer violette,
La gloire des cités dans le soleil couchant,
Allumaient dans nos coeurs une ardeur inquiète
De plonger dans un ciel au reflet alléchant.
Les plus riches cités, les plus grands paysages,
Jamais ne contenaient l'attrait mystérieux
De ceux que le hasard fait avec les nuages.
Et toujours le désir nous rendait soucieux!
— La jouissance ajoute au désir de la force.
Désir, vieil arbre à qui le plaisir sert d'engrais,
Cependant que grossit et durcit ton écorce,
Tes branches veulent voir le soleil de plus près!
Grandiras-tu toujours, grand arbre plus vivace
Que le cyprès? — Pourtant nous avons, avec soin,
Cueilli quelques croquis pour votre album vorace
Frères qui trouvez beau tout ce qui vient de loin!
Nous avons salué des idoles à trompe;
Des trônes constellés de joyaux lumineux;
Des palais ouvragés dont la féerique pompe
Serait pour vos banquiers un rêve ruineux;
Des costumes qui sont pour les yeux une ivresse;
Des femmes dont les dents et les ongles sont teints,
Et des jongleurs savants que le serpent caresse.»
V
Et puis, et puis encore?
VI
«Ô cerveaux enfantins!
Pour ne pas oublier la chose capitale,
Nous avons vu partout, et sans l'avoir cherché,
Du haut jusques en bas de l'échelle fatale,
Le spectacle ennuyeux de l'immortel péché:
La femme, esclave vile, orgueilleuse et stupide,
Sans rire s'adorant et s'aimant sans dégoût;
L'homme, tyran goulu, paillard, dur et cupide,
Esclave de l'esclave et ruisseau dans l'égout;
Le bourreau qui jouit, le martyr qui sanglote;
La fête qu'assaisonne et parfume le sang;
Le poison du pouvoir énervant le despote,
Et le peuple amoureux du fouet abrutissant;
Plusieurs religions semblables à la nôtre,
Toutes escaladant le ciel; la Sainteté,
Comme en un lit de plume un délicat se vautre,
Dans les clous et le crin cherchant la volupté;
L'Humanité bavarde, ivre de son génie,
Et, folle maintenant comme elle était jadis,
Criant à Dieu, dans sa furibonde agonie:
»Ô mon semblable, mon maître, je te maudis!«
Et les moins sots, hardis amants de la Démence,
Fuyant le grand troupeau parqué par le Destin,
Et se réfugiant dans l'opium immense!
— Tel est du globe entier l'éternel bulletin.»
VII
Amer savoir, celui qu'on tire du voyage!
Le monde, monotone et petit, aujourd'hui,
Hier, demain, toujours, nous fait voir notre image:
Une oasis d'horreur dans un désert d'ennui!
Faut-il partir? rester? Si tu peux rester, reste;
Pars, s'il le faut. L'un court, et l'autre se tapit
Pour tromper l'ennemi vigilant et funeste,
Le Temps! Il est, hélas! des coureurs sans répit,
Comme le Juif errant et comme les apôtres,
À qui rien ne suffit, ni wagon ni vaisseau,
Pour fuir ce rétiaire infâme; il en est d'autres
Qui savent le tuer sans quitter leur berceau.
Lorsque enfin il mettra le pied sur notre échine,
Nous pourrons espérer et crier: En avant!
De même qu'autrefois nous partions pour la Chine,
Les yeux fixés au large et les cheveux au vent,
Nous nous embarquerons sur la mer des Ténèbres
Avec le coeur joyeux d'un jeune passager.
Entendez-vous ces voix charmantes et funèbres,
Qui chantent: «Par ici vous qui voulez manger
Le Lotus parfumé! c'est ici qu'on vendange
Les fruits miraculeux dont votre coeur a faim;
Venez vous enivrer de la douceur étrange
De cette après-midi qui n'a jamais de fin!»
À l'accent familier nous devinons le spectre;
Nos Pylades là-bas tendent leurs bras vers nous.
«Pour rafraîchir ton coeur nage vers ton Electre!»
Dit celle dont jadis nous baisions les genoux.
VIII
Ô Mort, vieux capitaine, il est temps! levons l'ancre!
Ce pays nous ennuie, ô Mort! Appareillons!
Si le ciel et la mer sont noirs comme de l'encre,
Nos coeurs que tu connais sont remplis de rayons!
Verse-nous ton poison pour qu'il nous réconforte!
Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,
Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu'importe?
Au fond de l'Inconnu pour trouver du nouveau!
(fonte: fleursdumal.org)

Heat Moon William Least, Mi piacerebbe girare il mondo

- Mi piacerebbe girare il mondo. Adoro guardare le targhe delle auto. Mi porterei un cane però. Tu ce l'hai il cane?
- Né cani, né gatti, né cocorite. La mia è un'impresa solitaria per dimostrare agli americani che una persona può viaggiare senza animali al seguito.
- Non è possibile viaggiare senza un cane!
- Amo rendermi la vita difficile.
- Al diavolo! Io mi porterei un cane per parlargli insieme. E per difesa.
- Girare il mondo parlando a un cane anziché alla gente che incontri per strada non è viaggiare. D'altra parte, la solitudine durante la marcia ti rende disponibile agli altri durante le soste. Se viaggi da sola diventi socievole.

Heat Moon, William Least. Strade blu un viaggio dentro l’America. Torino: Einaudi, 1988.

Heat Moon William Least, Spazio vuoto

La mia rotta prevedeva di toccare quei piccoli centri che, quando va bene, sono segnati sulle carte stradali solo perché al cartografo è rimasto uno spazio vuoto da riempire; Remote, Oregon; Simplicity, Virginia; New Freedom, Pennsylvania; New Hope, Tennessee; Why, Arizona; Whynot, Mississippi; Igo, California (proprio sulla strada per Ono). * in italiano i nomi di queste città suonerebbero all'incirca: Remota, Semplicità, Nuova Libertà, Nuova Speranza, Perché, Perché No, Io Vado, O No.

Heat Moon, William Least. Strade blu un viaggio dentro l’America. Torino: Einaudi, 1988.

Bryson Bill, Distanza

Ricordo che quando comprai la mia prima auto, dopo circa un anno che stavo a Bournemouth, presi ad armeggiare con l'autoradio e mi stupii di quanti canali riuscisse a prendere, tutti in francese; quando poi guardai la cartina il mio stupore aumentò nel realizzare che ero più vicino a Cherbourg che a Londra. Il giorno dopo feci presente il fatto al lavoro, e molti dei miei colleghi si rifiutarono di credermi. Anche dopo avergli mostrato la cartina, aggrottarono dubbiosamente la fronte dicendo cose tipo "Be', si, in senso strettamente fisico magari è vero", come se stessi andando troppo per il sottile e come se, una volta attraversata la Manica, occorresse un concetto della distanza tutto nuovo - e ovviamente in questo avevano ragione loro.

Bryson, Bill. Notizie da un’isoletta. 3a ed. Milano: TEA, 2010.

Rucco Dario, Ma chi glielo fa fare?

Arrivato sulla prima spiaggia del percorso mi devo immergere in mare, non tanto per il piacere di un bagno quanto per la necessità di levarmi la condensa tropicale detta altrimenti schifoso sudore presente sull'epidermide.
Dopo un bagno ristoratore riprendo la marcia alla volta della spiaggia Lopes Mendes che, secondo la infallibile Lonely Planet, potrebbe essere considerata come una delle migliori spiagge del Brasile.
Non sono mai stato un gran appassionato di spiagge e bagni al mare. Forse è per questo che Lopes Mendes mi ha ricordato molto una spiaggia visitata anni prima sull'Isola di Olanda, in Svezia
Ci sarebbe la possibilità di ritornare da Lopes Mendes a Vila de Abraao in barca, evitando sudore e serpenti. Ma penso che sia troppo "turistico" e mi accingo ad imboccare nuovamente il sentiero sotto lo sguardo allucinato di alcune persone spaparanzate in barca che, osservando me e un altro pugno di trekkisti maniaci che calzano scarpe cingolate, si domandano il classico: "ma chi glielo fa fare?".
Mentre ritorno, con la pelle coperta da uno schifoso misto di salsedine, sabbia, protettore solare e sudore mi viene da pensare se forse non facciano meglio quelli che trascorrono quindici giorni di vacanza a bordo piscina di un Grand Hotel sorseggiando un succo di tamarindo servito da un cameriere, senza questo gusto per l'avventura e la ricerca della "vacanza disagevole"...

Rucco, Dario. Da capo a capo dalla Terra del Fuoco in Alaska in autobus. Milano: Greco&Greco, 2005.

Rucco Dario, Crocieristi che sbarcano

A Roseau assisto allo spettacolo avvilente dei crocieristi che sbarcano. E non lo dico certo per l'invidia di non potermi permettermi una crociera del genere! Ogni giorno una o più navi cariche di turisti europei o nordamericani attraccano al porto della capitale di un'isola caraibica. Per evitare di saturare l'isola, i partecipanti alla crociera vengono fatti sbarcare secondo un rigoroso ordine in gruppi numerati.
Ogni gruppo dispone di un tempo limitato per l'escursione a terra. Si vede gente solitamente molto anziana e obesa, rigorosamente con pantaloncini corti, gambe bianchissime, sandali preferibilmente con calzino, cappellino con visiera, un paio di macchine fotografiche o/o una videocamera a tracolla. Sul viso l'espressione da zombi. Purtroppo dopo essere sbarcati già in cinque o sei luoghi simili hanno l'aria smarrita non sapendo neanche più loro dove si trovino questa volta. Entrano come degli automi nei negozi di souvenir dove comperano qualche decina di magliette con stampato il nome dell'isola che pensano di regalare agli amici facendo loro una gradita sorpresa e altre cazzate con le quali riempiranno varie borse che non riesco a capire dove riusciranno a sistemare nelle loro cabine a bordo della nave.
Ogni tanto si nota anche qualche coppietta molto giovane ancora più smarrita. Pensavano di farsi una crociera, come raccontava lo spot pubblicitario, con serate danzanti in mezzo a giovani spensierati ed eventualmente qualche attore o personaggio sportivo VIP, ma si ritrovano in mezzo a persone di una quarantina di anni più anziani di loro che vanno a letto alle nove.
Si sente lei che dice a lui: "La prossima volta però andiamo in quel villaggio turistico dove la mia amica si è divertita tanto...".
Lui invece sta pensando al sistema per andare di nascosto a Cuba, della quale alcuni amici single gli hanno raccontato meraviglie...

Rucco, Dario. Da capo a capo dalla Terra del Fuoco in Alaska in autobus. Milano: Greco&Greco, 2005.

Heat Moon William Least, Chi può dire quando comincia un viaggio

- Ecco come si comincia, - disse il mio amico, un marinaio d'acque profonde, uno di quelli che chiamerò Pilotis. Naturalmente non era quello il vero inizio. Chi può dire quando comincia un viaggio - non il movimento, ma il sogno del viaggio, che preme per farsi strada verso la realtà? Per questo viaggio in particolare posso citare un possibile incipit: sono un lettore di cartine, di solito non si tratta di carte nautiche, ma di carte stradali. Leggo le cartine come altri leggono le Sacre Scritture, lo stesso testo più e più volte, alla ricerca di una rivelazione; i libri che ho scritto cominciano tutti col mio sguardo che vaga sulle cartine del territorio americano. A casa ho un vecchio atlante stradale, talmente consumato che l'ho fatto rilegare, le pagine sono cosi lisce per quanto le ho tenute fra le dita che sospirano quando le giro. Ho evidenziato in giallo ogni strada che ho percorso, le pagine sono fitte di segni, ormai posso dire di aver visitato tutte le contee degli Stati Uniti continentali, Alaska esclusa, tranne una manciata nel profondo Sud dove andrò ben presto. Mettete un dito a caso su un punto qualsiasi della cartina degli Stati Uniti e io ci sono stato, o comunque sono stato a non più di quaranta chilometri di distanza, con l'eccezione dei deserti del Nevada, dove lo scarto può essere doppio. Non l'ho fatto di proposito, è capitato da sé, in quarant' anni dedicati a memorizzare il volto dell' America. Se qualcuno parla di Pawtucket o Cross Creek o Marfa voglio che mi appaia un'immagine dei miei viaggi; quando leggo luogo e data all'inizio di un articolo di giornale su Jackson Hole voglio che sia presente dentro di me l'orizzonte frastagliato del Teton e un penetrante profumo di pinon. Un abitante della Pennsylvania potrebbe chiedermi «Hai visto la taverna storica di Scenery Hill ?». E io voglio potergli rispondere: «Come sta il fantasma? Sono sempre buoni i cartocci di lievito?» Le parole che maggiormente hanno influenzato la mia vita sono quelle dell'autorevole Thomas Fuller, illustre storico della vecchia Inghilterra: «Conosci più che puoi il tuo paese d'origine prima di affacciarti oltre i suoi confini».
Vent' anni fa avevo già percorso cosi tanti chilometri di strade americane che sapevo ormai in agguato il giorno in cui non avrei più potuto prendere il volo verso posti nuovi - come Huck Finn, originario del Missouri come me, nonché viaggiatore fluviale. Fu allora che notai la ragnatela di linee azzurro pallido che ricamavano il mio atlante come vene varicose. Erano fiumi. Cominciai a seguire col dito quelle contorsioni, alla ricerca di un modo per attraversare l'America in barca. Dapprima fui semplicemente curioso di sapere se fosse possibile o meno effettuare un simile viaggio senza uscire dall'acqua troppe volte e per tratti troppo lunghi, ma poi presi a pensare con interesse crescente a come sarebbe apparsa l'America vista dai fiumi e a desiderare di poter osservare quei luoghi segreti nascosti a chi viaggia sulle strade. Un viaggio del genere mi avrebbe permesso senz' altro di accedere a nuovi territori e a più vaste conoscenze, ma non fui capace di trovare una via fluviale attraverso il continente che non comportasse molti chilometri di trasbordo e un ampio ricorso ad acque di frontiera - il Golfo del Messico o i Grandi Laghi. Io volevo una via che solcasse la nazione dall'interno.

Heat Moon, William Least. Nikawa diario di bordo di una navigazione attraverso l’America. Torino: Einaudi, 2002.

Heat Moon William Least, Andare a ovest

A Portsmouth l'Ohio cessa quasi del tutto di scorrere a sud e punta decisamente a ovest, mantenendo quella direzione per più di centosessanta chilometri; questi particolari topografici ci regalavano la sensazione di raggiungere un risultato e rafforzavano la nostra volontà di proseguire, volontà che veniva messa a dura prova ogni volta che davamo un'occhiata alla cartina degli Stati Uniti e vedevamo quanta strada ci restava da fare. Ogni tanto ci mettevamo a parlare di esploratori, pionieri, viaggiatori dei tempi andati, della natura, del fatto che l'America, forse più di ogni altra nazione, aveva costruito se. stessa e molti dei suoi miti sull'espansione verso ovest, un'idea molto presente allora come adesso, nonché fonte del più potente topos della nostra storia: il viaggio. Andare a ovest era un istinto ovvio in un paese i cui abitanti avevano tutti gli antenati nell'emisfero orientale e i cui leader consideravano l'espansione verso occidente come un destino inevitabile da realizzare per il bene dell'umanità, senza preoccuparsi troppo della gente che da quelle parti ci viveva già e ogni tanto si trovava fra i piedi. Il destino degli americani era di partire verso il mare, dove tramonta il sole, di prendere la terra e rimodellarla a propria immagine e somiglianza. Noi, cosi prosegue il ritornello della nostra storiografia, discendenti di un ipotetico giardino dell'Eden, avevamo il compito di crearne uno nuovo di zecca.

Heat Moon, William Least. Nikawa diario di bordo di una navigazione attraverso l’America. Torino: Einaudi, 2002.

Bryson Bill, Vedere le cose quando è ancora possibile

Parcheggiai la macchina in una strada laterale e camminai lungo la marina, passando davanti alle vetrine di negozi di inattesa pomposità: Prada, Hermès, Ralph Lauren. Tutto perfettamente elegante. Solo che non c'era nulla di interessante. Non avevo bisogno di farmi tredicimila chilometri per dare un'occhiata agli asciugamani da bagno di Ralph lauren. Forse è il mio innato pessimismo, ma ho come l'impressione che viaggiare ai nostri giorni significhi soprattutto vedere le cose quando è ancora possibile.

Bryson, Bill. In un paese bruciato dal sole l’Australia. 10a ed. Milano: TEA, 2009.

Bryson Bill, Alice Springs

In quei giorni (1950), Alice Springs aveva quattromila abitanti e rarissimi visitatori. Oggi è una prospera cittadina con venticinquemila abitanti ed è piena di visitatori -trecentocinquantamila all'anno- che naturalmente rappresentano il problema. Oggi potete arrivare in aereo da Adelaide in due ore, da Melbourne e Sydney in meno di tre. Potete avere un caffè espresso con il latte e comprare qualche opale e poi salire su un pullman turistico e percorrere la strada che conduce ad Ayers Rock. La città non è diventata solo accessibile, è diventata una destinazione. È così piena di motel, hotel, centri congressi, campeggi e località desertiche da visitare che non potete pretendere nemmeno per un momento di aver fatto qualcosa di eccezionale a venire fin qui. È davvero pazzesco. Una comunità che un tempo era celebre per essere remota ora attrae migliaia di visitatori che vengono a vedere quanto poco remota sia diventata.

Bryson, Bill. In un paese bruciato dal sole l’Australia. 10a ed. Milano: TEA, 2009.

Bryson Bill, Kibera

La mattina siamo andati in macchina fino a Kibera: una marea di tetti di lamiera che si estende per quasi due chilometri a sud della città, lungo il versante di una collina avvolta da nubi di vapore. Kibera è la più grande baraccopoli di Nairobi e probabilmente di tutta l'Africa. Nessuno ha idea di quante persone ci vivano. Non meno di settecentomila, forse un milione o anche di più. A Kibera ci sono almeno cinquantamila bambini orfani a causa dell'AIDS. Almeno un quinto degli abitanti è sieropositivo, ma la cifra potrebbe sfiorare il cinquanta per cento. Nessuno lo sa. Non vi è nulla di certo né di ufficiale su Kibera, inclusa la sua esistenza. Non compare su nessuna mappa. Esiste e basta.

Bryson, Bill. Diario africano. Parma: U. Guanda, 2003.

Ollivier Bernard, Solitudine

E sarò in grado di combattere gli oscuri abissi della solitudine che mi attende e di dominarne le delizie? E, soprattutto, saprò trarne profitto? Perchè questa solitudine non è una fuga, ma è una libera scelta. È una lavagna su cui scriverò il seguito. Un campo nel quale pianterò pensieri, spinosi o lisci, che sbocceranno pienamente soltanto al ritorno.
Ma chi dice che il ritorno sarà così certo? Mi lancio in questa avventura non senza qualche pensiero sulla mia morte.

Ollivier, Bernard. La lunga marcia. Milano: Feltrinelli Traveller, 2002.