Strayed Cheryl, Un sacco di vetro rotto

Pensavo solo ad andare avanti. La mia mente era un vaso di cristallo che conteneva quell’unico desiderio. Il mio corpo era il contrario: un sacco di vetro rotto. Ogni movimento era penoso. Contavo i passi per non pensare al dolore, snocciolando in silenzio i numeri fino a cento e poi ricominciando daccapo.

Ero eccitata di essere tornata sul sentiero, settecentoventi chilometri a nord da dove sarei dovuta essere. Non vedevo più le cime innevate e le alte pareti di granito dell’Alta Sierra, ma il sentiero mi dava la stessa sensazione. In molti modi, era anche lo stesso. Nonostante gli innumerevoli panorami montuosi e desertici che avevo visto, la cosa che mi era più familiare era la striscia larga sessanta centimetri del sentiero, la cosa su cui i miei occhi erano quasi sempre puntati, in cerca di radici e rami, serpenti e pietre. Talvolta il sentiero era sabbioso, talaltra roccioso oppure fangoso o ghiaioso, o ancora ricoperto di uno spesso strato di aghi di pino. Poteva essere nero o marrone o grigio o rossiccio come caramello, ma era sempre il PCT. Il centro del mondo.

Strayed, Cheryl, e Mondadori. Wild. Milano: Piemme, 2012.

Bird Isabella, Scendemmo a cena

Scendemmo a cena e solo il fatto di non aver toccato cibo da molte ore avrebbe potuto costringermi a mangiare in un simile luogo. Eravamo in una stanza lunga, al centro della quale stava un tavolo apparecchiato per cento persone. Ogni posto sulla panca, di fattura piuttosto grezza, era occupato. Il pavimento era appena stato lavato ed emetteva un fetido odore di umidità. Da un lato c’era un grande camino dove, a dispetto della giornata calda, erano in atto varie operazioni, che andavano sotto il nome generico di cucina. All’estremità della stanza c’era un lungo trogolo o lavello di piombo, dove tre sguatteri, unti e senza scarpe, erano costantemente impegnati a lavare i piatti che poi asciugavano nei loro grembiuli. I piatti però non venivano lavati, ma solo risciacquati superficialmente. C’erano quattro camerieri dall’aspetto di briganti con barbe e baffi incredibili.

A tavola non c’era una gran varietà. C’erano otto zampe di montone bollite, quasi crude, sei polli vecchi le cui cosce avevano la consistenza delle corde di una chitarra, un maiale arrosto  guarnito con cipolle che nuotava nel grasso e, come verdura, patate americane, pannocchie di granoturco e zucca. Una tazza di tè bollente, addolcito con melassa, stava di fianco ad ogni piatto e la compagnia non consumò alcun tipo di bevanda alcolica. Non c’erano trincianti, così ognuno doveva cavarsela con il proprio coltello e qualcuno fra i presenti tagliò la carne con destrezza usando il coltello da caccia che aveva nella cintura. Non c’erano neppure cucchiaini per il sale, così ciascuno immergeva il suo coltello unto nella piccola saliera di peltro. La cena ebbe inizio e, dopo aver soddisfatto il mio appetito con il piatto meno ripugnante, vale a dire il maiale arrosto guarnito con cipolle, ebbi tempo di guardarmi attorno.

Bird, Isabella. The Englishwoman in America, 1856.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Bly Nellie, Quando venne servita la cena

Quando venne servita la cena, coraggiosamente entrai e mi sedetti alla sinistra del capitano. Ero assolutamente determinata a resistere ai miei impulsi, ma tuttavia in fondo al cuore avevo una debole, vaga sensazione di aver trovato qualcosa di più forte della mia volontà.

La cena cominciò molto piacevolmente. I camerieri di muovevano quasi senza far rumore, mentre l’orchestra suonava un’ouverture; il capitano Albers, bello e gioviale, prese posto a capotavola e i passeggeri che erano seduto al suo tavolo cominciarono a mangiare con lo stesso gusto di un ciclista entusiasta della bella strada. Ero l’unica al tavolo del capitano che si poteva definire marinaio d’acqua dolce. Ero amaramente conscia di questo fatto, come lo erano gli altri.

Potrei tranquillamente confessare che, mentre servivano la minestra, ero persa in pensieri dolorosi e invasa da uno sgradevole timore. Avvertivo che tutto era perfetto, come un regalo di Natale inatteso, e mi accinsi ad ascoltare i commenti entusiastici sulla musica fatti dai miei compagni, ma i miei pensieri erano rivolti a una questione che non ammetteva discussioni.

Avevo freddo, avevo caldo; sentivo che, se anche non avessi visto cibo per sette giorni, non avrei sofferto la fame; in realtà avevo un grande, vivo desiderio di non vederlo, non annusarlo, non mangiarlo sino a quando non avessi raggiunto la terraferma o un miglior controllo di me stessa.

Servirono il pesce e il capitano Albers era nel mezzo di una bella storia quando mi accorsi che non ce la facevo più. “Scusatemi” sussurrai debolmente e mi precipitai fuori di corsa, alla cieca. Fui scortata in un angolo remoto dove, dopo una breve riflessione e un piccolo sfogo delle mie emozioni fin lì trattenute, mi ripresi con coraggio, e decisi di accettare il consiglio del capitano tornando al pranzo interrotto.

“L’unico modo di vincere il mal di mare è sforzarsi di mangiare” aveva detto il capitano e decisi che il rimedio era abbastanza innocuo da poter essere sperimentato.

Al mio ritorno, si congratularono con me. Avevo la fastidiosa sensazione che mi sarei comportata di nuovo male, ma tentai di non darlo a vedere. Successe di lì a poco ed io sparii alla stessa velocità di prima.

Di nuovo ritornai. Questa volta i miei nervi erano traballanti e la fede nella mia determinazione si stava indebolendo. Mi ero appena seduta quando colsi un lampo divertito nell’occhio di un cameriere che mi fece seppellire il viso nel fazzoletto e soffocare prima che riuscissi ad allontanarmi dalla sala da pranzo.

I “brava” che gentilmente accolsero il mio terzo ritorno a tavola minacciarono di farmi di nuovo perdere il contegno. Fui felice di sapere che il pranzo era appena finito ed ebbi anche la sfacciataggine di dire che era stato molto buono!

Bly, Nellie. Around the World in Seventy-Two Days. New York: The Pictorial Weeklies Company, 1890.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Curzon Robert, Qualcosa di squisito

Dopo aver chiacchierato di svariati argomenti mi informai sulla biblioteca e chiesi se potevo visionarne il contenuto. L’agoumenos si dichiarò lieto di mostrarmi tutto quello che il monastero conteneva. “Ma prima” disse “desidero offrirvi qualcosa di squisito per colazione e per mostrarvi tutta la benevolenza che nutro per un ospite così illustre, lo preparerò con le mie mani e sarò presente mentre lo mangiate, perché è davvero un piatto delizioso che non viene offerto a chiunque”. “Bene” pensai “una buona prima colazione è un’ottima cosa”. La fresca aria di montagna e la buona notte di sonno mi avevano messo appetito, così espressi il mio ringraziamento per la gentile ospitalità dell’abate ed egli, sedendosi di fronte a me sul divano, procedette a preparare la sua ricetta. “Questo” disse presentando una bacinella poco profonda piena a metà di pasta bianca “è il principale e più gustoso ingrediente del famoso piatto: è composto da teste d’aglio triturate con un po’ di zucchero. Nell’impasto verso l’olio nelle dovute proporzioni, delle fettine di buon formaggio –sembrava che fosse del tipo bianco acido che assomiglia a quello chiamato in Italia meridionale caccia cavallo – e vari altri buoni condimenti. E adesso è pronto!” Rimestò quel gustoso pasticcio con un grande cucchiaio di legno sino a quando nella stanza, nel corridoio e nelle celle, al di là della collina e della valle non si sparse un aroma che non si può descrivere. “Ecco” disse l’agoumenos, spezzettando dentro alcuni pezzi di pane con le sue mani grandi e alquanto sporche “questo è un piatto degno di un imperatore! Mangiate, amico mio, mio illustre ospite, non siate timido. Mangiate. E quando avrete pulito la ciottola, andrete nella biblioteca e dovunque vogliate andare; ma non andrete da nessuna parte sino a quando non avrò avuto il piacere di vedervi rendere giustizia a questo cibo delizioso, che, ve lo assicuro, non troverete altrove”.

Ero estremamente turbato. Chi avrebbe mai immaginato un martirio così atroce? La mela acerba dell’eremita nella valle sottostante era niente, una quisquilia al confronto! Quando mai si è visto somministrare ad uno sfortunato bibliofilo una medicina come questa? Sarebbe stata sufficiente a convincere tuto il Roxburgh Club a non avere mai più a che fare con libri e biblioteche.

Curzon, Robert. Visits to monasteries in the Levant. London: John Murray, 1849.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Fraser John Foster, Un pasto di nga-pee birmano

Arrivammo per tempo a Fyaukmyaung, o Kyoukmoung, o come volete chiamarlo, noto per essere stato uno o due anni fa saccheggiato dai briganti. Eravamo stanchi del solito riso e Lowe, nella sua ingenuità, suggerì una cena a base di pesce. L’idea era brillante, ma per poco non ci uccise tutti e tre. Avevamo mangiato zampe di rana in Francia e osservato con tranquillità il consumo di papaveri in Cina. Era quindi appropriato un pasto di nga-pee birmano.

Dopo che ci fummo ripresi dal nostro malessere, facemmo indagini sul modo in cui veniva preparato il cibo. Prima di tutto il pesce veniva pescato e messo a seccare al sole per tre giorni. Il pesce morto, ma che si muoveva ancora, veniva poi pestato con molto sale, e messo in un vaso di terracotta: quando si toglieva il coperchio, tutti, anche a otto chilometri di distanza, sapevano cosa c’era dentro.

Il nga-pee, me ne resi conto ben presto, era una prelibatezza che poteva essere apprezzata solo dai palati più raffinati. Il sapore è originale: è salato, quasi come burro rancido aromatizzato con formaggio di Linburg, aglio e olio di paraffina. L’odore è più interessante del sapore. Non passa inosservato.

Fraser, John Foster. Round the world on a wheel. London: Methuen & Co., 1899.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Hunt Jackson Helen, C’è della trota?

C’è della trota? No. Pollo? No. Bistecche? No. Che cosa possiamo mangiare? Vitello e uova. I forestieri provenienti da Gastein avevano praticamente mangiato tutto il cibo della taverna di Berchtesgaden. Il vitello e le uova costituiscono la dieta principale dello stomaco tedesco: il vitello lesso grondante di grasso e senape e le orribili uova piene di burro e aglio. Puah! Per tutta la vita ricorderò l’insalata di uova che la cara Marie ha aggiunto ieri sera alla nostra cena e che ho assaggiato appena, per educazione, ma sono stata costretta a mandare giù in fretta con grosse sorsate di birra, come fosse calomelano. Pensavo di aver mangiato male in Italia, ma do senza dubbio alla Germania la palma della vittoria.

Hunt Jackson, Helen. Bits of travel. Boston: J.R. Osgood, 1874.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Twain Mark, Non mangerò mai più cibo turco

Non mangerò mai più cibo turco. La cucina era allestita nella piccola sala da pranzo, vicino al bazar, e si apriva sulla strada. Il cuoco era sudicio e così pure il tavolo, privo di tovaglia. Il tizio prese parecchie salcicce, le arrotolò intorno a un filo di ferro e le mise a cuocere sul fuoco di carbonella. Quando furono pronte, le posò di lato e un cane si fece mestamente avanti e le assaggiò dopo averle dapprima annusate, riconoscendo probabilmente i resti di un amico. Il cuoco gliele tolse di bocca e ce le mise di fronte. Jack disse: “Passo” – qualche volta gioca a euchre – e tutti a nostra volta passammo. Poi il cuoco mise nel forno un dolce di frumento largo e piatto, lo unse per bene con la salciccia e stava dirigendosi verso di noi, quando questo gli cadde per terra nel sudiciume. Lui allora lo raccolse, lo pulì sui calzoni e ce lo mise davanti. Jack disse: “Passo”. Tutti passammo. Mise a friggere delle uova in una padella e stette pensieroso a pulire con una forchetta dei pezzi di carne che aveva tra i denti. Quindi usò la stessa forchetta per girare le uova e ce la portò. Jack disse: “Di nuovo, passo”. Tutti lo seguimmo. Non sapevamo cosa fare, così ordinammo una nuova porzione di salcicce. Il cuoco tirò fuori il suo filo di ferro, vi arrotolò di nuovo una giusta dose di salcicce, si sputò sulle mani e ricominciò a lavorare. Questa volta rinunciammo tutti all’unisono. Pagammo e ce ne andammo via. Questo è tutto quello che ho imparato sul cibo turco. Una colazione turca è buona, senza dubbio, ma ha i suoi piccoli inconvenienti.

Twain, Mark. Innocents abroad. Hartford: American Pub. Co., 1881.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Thicknesse Philip, Evitare il luogo da cui scrivo

Post-House, St. George, a sei leghe da Lione

Sono preciso nell’intestare questa lettera nella speranza che i viaggiatori inglesi possano evitare il luogo da cui scrivo, o fermandosi poco, o tenendosene lontani, dato che è la sola struttura del villaggio ad accogliere i viandanti, ed è la peggiore in cui mi sia imbattuto in tutto il viaggio.

Thicknesse, Philip. A year’s journey through France, and part of Spain. London: Printed for W. Brown, 1789.

(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)

Burton Isabel, I turisti di Cook

I turisti di Cook erano arrivati e con loro passai più tempo possibile, andando a pranzo e a cena alla loro table d'hôte. Dovevano essere circa centottanta e mi assicurarono divertimento e insegnamenti a non finire. Arrivano in una città come locuste ed è un duro lavoro per noi habitués trovare cibo e alloggio durante la loro permanenza. Gli abitanti dicevano: "Ma hum Sayyahin: Hum Kukiyyeh", (questi non sono viaggiatori, sono Cookii); tuttavia non si può non lodare il signor Cook e la sua organizzazione. Dà la possibilità a migliaia di persone, che altrimenti starebbero a casa, di godere dell'éducation d'un voyage, e il viaggio è una necessità per "la nostra ristretta mentalità insulare". Aprirà al turismo paesi ora difficilmente accessibili; il gruppo di Cook non sarà maltrattato o depredato laddove un individuo da solo difficilmente riuscirebbe ad entrare. Il turismo crescerà invece di diminuire, e ogni anno si vedranno nuovi progressi.

Burton, Isabel. The Inner Life of Syria. London: Henry S. King & Co, 1875.

(traduzione: Era meglio non partire, RCS Libri, 2008)

Mungo Park, La curiosità delle signore

La curiosità delle signore mi aveva dato molto fastidio sin dal mio arrivo a Benowm, e la sera del venticinque (non posso dire se su istigazione degli altri o spinte dalla loro incontenibile curiosità o, più semplicemente, per gioco) un gruppo di donne venne alla mia capanna, e mi fece chiaramente capire che lo scopo della visita era quello di accertarsi, con un vera e propria ispezione, se il rito della circoncisione si estendesse anche ai nazareni (cristiani) come era praticato dai seguaci di Maometto. Il lettore non avrà difficoltà a capire la mia sorpresa di fronte a questa inaspettata dichiarazione e, al fine di evitare l’esame proposto, pensai che fosse meglio trattare la faccenda in modo scherzoso. Feci loro osservare che nel mio paese, in casi come questi, non era abitudine dare una dimostrazione visiva, di fronte a tante bellissime donne, ma che se si fossero ritirate tutte salvo la giovane ragazza che indicai col dito (scegliendo la più giovane e bella), avrei soddisfatto, la sua curiosità. Le signore apprezzarono la burla e se ne andarono ridendo allegramente, la giovane fanciulla alla quale avevo accordato la mia preferenza (sebbene non si sia avvalsa del privilegio dell’ispezione) non sembrava in nessun modo dispiaciuta per il complimento, perché subito dopo mi mandò cibo e latte per la mia cena.

Mungo Park. The travels of Mungo Park. New York: J. M. Dent & co., E. P. Dutton & co., 1907.

(traduzione: Era meglio non partire, RCS Libri, 2008)

Twain Mark, Gente calva

Secondo la tradizione, da queste parti c'è tanta gente calva perché il vento sradica i capelli dalla testa nel momento in cui si mettono a correre dietro i loro cappelli. Nei pomeriggi d'estate le strade di Carson presentano di rado un aspetto inattivo e pigro, perché si vedono sempre molti cittadini saltellare intorno ai loro cappelli in fuga, come tante donne di servizio che tentino di decapitare un ragno.

Twain, Mark. Roughing it. Toronto: Musson, 1899.

Blunt Anne, Locuste

Le locuste fanno ormai parte della nostra dieta quotidiana, e sono davvero eccellenti. Dopo averle provate in parecchi modi, siamo giunti alla conclusione che è meglio bollirle. Si devono staccare le lunghe saltellanti zampette e, tenendo le locuste per le ali, immergerle nel sale e mangiarle. Il sapore è più quello di un vegetale che di carne o pesce, non dissimile dal grano in Inghilterra, e per noi è un ottimo sostituto della verdura di cui abbiamo un gran bisogno.

Blunt, Anne. A Pilgrimage to Nejd, the Cradle of the Arab Race. London: J. Murray, 1881.

Jebb Louisa, Non ci mancava nulla

Tentai di ricordare che cosa volesse dire vivere nella civiltà, ma tutto quello che mi tornò alla mente fu come fosse stato difficile staccarmene. Mentre eravamo ancora lì, non sapevamo che cosa avremmo potuto volere altrove. Ma, una volta lontane, ogni difficoltà era scomparsa; d’improvviso ci sembrò che tutto accadesse naturalmente. Non ci mancava nulla di quello che ci eravamo lasciate alle spalle. E siccome era stato difficile distaccarcene quando ancora ci vivevamo, ora avevamo delle difficoltà a tornarci.

Jebb, Louisa. By Desert Ways to Baghdad and Damascus. London: T. F. Unwin, 1909.

Globetrotter nel Ticino

A Lugano-Paradiso alcune settimane or sono la polizia ha fermato un globetrotter che di nottetempo si era introdotto nel giardino d'una villa mettendo in allarme il cane da guardia e i proprietari. Il disgraziato è stato rinviato al suo paese d'origine: la Germania. Identica sorte hanno avuto a Locarno cinque di questi giramondo che, essendo risultati privi di mezzi di sussistenza, sono stati rispediti al loro paese. Tempi poco lieti per chi vuol girare per il mondo a tasche vuote, quelli che attraversiamo. Non c'è da meravigliarsi perciò se anche nel Ticino questi uccelli spennacchiati di passo sono oggetto di speciali attenzioni da parte della polizia, anche perchè quest'ultima - come abbiamo appreso da un rapporto dipartimentale - deve tenere conto del fatto che alla frontiera del sud non si scherza con questi tardi epigoni di Erodoto e di San Francesco, i quali debbono provare di avere una congrua scorta di denaro per essere ammessi entro i confini del Regno. A pregiudicare la situazione di questi turisti che non recano alcun apporto al commercio del paese ha contribuito la circostanza che alcuni di costoro si sono mostrati degli indesiderabili, sia perchè importunano il prossimo con le loro querimonie, sia perchè hanno idee quanto mai imprecise in fatto di tuo e di mio.