Quando venne servita la cena, coraggiosamente entrai e mi sedetti alla sinistra del capitano. Ero assolutamente determinata a resistere ai miei impulsi, ma tuttavia in fondo al cuore avevo una debole, vaga sensazione di aver trovato qualcosa di più forte della mia volontà.
La cena cominciò molto piacevolmente. I camerieri di muovevano quasi senza far rumore, mentre l’orchestra suonava un’ouverture; il capitano Albers, bello e gioviale, prese posto a capotavola e i passeggeri che erano seduto al suo tavolo cominciarono a mangiare con lo stesso gusto di un ciclista entusiasta della bella strada. Ero l’unica al tavolo del capitano che si poteva definire marinaio d’acqua dolce. Ero amaramente conscia di questo fatto, come lo erano gli altri.
Potrei tranquillamente confessare che, mentre servivano la minestra, ero persa in pensieri dolorosi e invasa da uno sgradevole timore. Avvertivo che tutto era perfetto, come un regalo di Natale inatteso, e mi accinsi ad ascoltare i commenti entusiastici sulla musica fatti dai miei compagni, ma i miei pensieri erano rivolti a una questione che non ammetteva discussioni.
Avevo freddo, avevo caldo; sentivo che, se anche non avessi visto cibo per sette giorni, non avrei sofferto la fame; in realtà avevo un grande, vivo desiderio di non vederlo, non annusarlo, non mangiarlo sino a quando non avessi raggiunto la terraferma o un miglior controllo di me stessa.
Servirono il pesce e il capitano Albers era nel mezzo di una bella storia quando mi accorsi che non ce la facevo più. “Scusatemi” sussurrai debolmente e mi precipitai fuori di corsa, alla cieca. Fui scortata in un angolo remoto dove, dopo una breve riflessione e un piccolo sfogo delle mie emozioni fin lì trattenute, mi ripresi con coraggio, e decisi di accettare il consiglio del capitano tornando al pranzo interrotto.
“L’unico modo di vincere il mal di mare è sforzarsi di mangiare” aveva detto il capitano e decisi che il rimedio era abbastanza innocuo da poter essere sperimentato.
Al mio ritorno, si congratularono con me. Avevo la fastidiosa sensazione che mi sarei comportata di nuovo male, ma tentai di non darlo a vedere. Successe di lì a poco ed io sparii alla stessa velocità di prima.
Di nuovo ritornai. Questa volta i miei nervi erano traballanti e la fede nella mia determinazione si stava indebolendo. Mi ero appena seduta quando colsi un lampo divertito nell’occhio di un cameriere che mi fece seppellire il viso nel fazzoletto e soffocare prima che riuscissi ad allontanarmi dalla sala da pranzo.
I “brava” che gentilmente accolsero il mio terzo ritorno a tavola minacciarono di farmi di nuovo perdere il contegno. Fui felice di sapere che il pranzo era appena finito ed ebbi anche la sfacciataggine di dire che era stato molto buono!
Bly, Nellie. Around the World in Seventy-Two Days. New York: The Pictorial Weeklies Company, 1890.
(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)
Ero estremamente turbato. Chi avrebbe mai immaginato un martirio così atroce? La mela acerba dell’eremita nella valle sottostante era niente, una quisquilia al confronto! Quando mai si è visto somministrare ad uno sfortunato bibliofilo una medicina come questa? Sarebbe stata sufficiente a convincere tuto il Roxburgh Club a non avere mai più a che fare con libri e biblioteche.
Curzon, Robert. Visits to monasteries in the Levant. London: John Murray, 1849.
(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)
Dopo che ci fummo ripresi dal nostro malessere, facemmo indagini sul modo in cui veniva preparato il cibo. Prima di tutto il pesce veniva pescato e messo a seccare al sole per tre giorni. Il pesce morto, ma che si muoveva ancora, veniva poi pestato con molto sale, e messo in un vaso di terracotta: quando si toglieva il coperchio, tutti, anche a otto chilometri di distanza, sapevano cosa c’era dentro.
Il nga-pee, me ne resi conto ben presto, era una prelibatezza che poteva essere apprezzata solo dai palati più raffinati. Il sapore è originale: è salato, quasi come burro rancido aromatizzato con formaggio di Linburg, aglio e olio di paraffina. L’odore è più interessante del sapore. Non passa inosservato.
Fraser, John Foster. Round the world on a wheel. London: Methuen & Co., 1899.
(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)
Hunt Jackson, Helen. Bits of travel. Boston: J.R. Osgood, 1874.
(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)
Nothing, say you? Perhaps so; nothing but a charming woman, who, strange as it may appear, made him the happiest of men!
Truly, would you not for less than that make the tour around the world?
Verne, Jules. Around the world in eighty days. Boston: James R. Osgood, 1873.
Mungo Park. The Travels of Mungo Park. New York: J. M. Dent & co., E. P. Dutton & co., 1907.
Nothing in the world is so incomprehensible as the attraction of sex. Age, quality, appearance, learning, position, or wealth, have nothing to do with it whatever. Sex attracts like a magnet ; but, unlike a magnet, one cannot say how or why, or name the cause of this power.
Tweedie, Ethel Brilliana. Women the World over. London: Hutchinson & co., 1914.
Rien, dira-t-on? Rien, soit, si ce n'est une charmante femme, qui—quelque invraisemblable que cela puisse paraître—le rendit le plus heureux des hommes!
En vérité, ne ferait-on pas, pour moins que cela, le Tour du Monde?
Verne, Jules. Le tour du monde en quatre-vingt jours. Paris: Hetzel et C.ie, 1874.
Non mangerò mai più cibo turco. La cucina era allestita nella piccola sala da pranzo, vicino al bazar, e si apriva sulla strada. Il cuoco era sudicio e così pure il tavolo, privo di tovaglia. Il tizio prese parecchie salcicce, le arrotolò intorno a un filo di ferro e le mise a cuocere sul fuoco di carbonella. Quando furono pronte, le posò di lato e un cane si fece mestamente avanti e le assaggiò dopo averle dapprima annusate, riconoscendo probabilmente i resti di un amico. Il cuoco gliele tolse di bocca e ce le mise di fronte. Jack disse: “Passo” – qualche volta gioca a euchre – e tutti a nostra volta passammo. Poi il cuoco mise nel forno un dolce di frumento largo e piatto, lo unse per bene con la salciccia e stava dirigendosi verso di noi, quando questo gli cadde per terra nel sudiciume. Lui allora lo raccolse, lo pulì sui calzoni e ce lo mise davanti. Jack disse: “Passo”. Tutti passammo. Mise a friggere delle uova in una padella e stette pensieroso a pulire con una forchetta dei pezzi di carne che aveva tra i denti. Quindi usò la stessa forchetta per girare le uova e ce la portò. Jack disse: “Di nuovo, passo”. Tutti lo seguimmo. Non sapevamo cosa fare, così ordinammo una nuova porzione di salcicce. Il cuoco tirò fuori il suo filo di ferro, vi arrotolò di nuovo una giusta dose di salcicce, si sputò sulle mani e ricominciò a lavorare. Questa volta rinunciammo tutti all’unisono. Pagammo e ce ne andammo via. Questo è tutto quello che ho imparato sul cibo turco. Una colazione turca è buona, senza dubbio, ma ha i suoi piccoli inconvenienti.
Twain, Mark. Innocents abroad. Hartford: American Pub. Co., 1881.
(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)
Sono preciso nell’intestare questa lettera nella speranza che i viaggiatori inglesi possano evitare il luogo da cui scrivo, o fermandosi poco, o tenendosene lontani, dato che è la sola struttura del villaggio ad accogliere i viandanti, ed è la peggiore in cui mi sia imbattuto in tutto il viaggio.
Thicknesse, Philip. A year’s journey through France, and part of Spain. London: Printed for W. Brown, 1789.
(traduzione: I sapori del viaggio, RCS Libri, 2008)
Burton, Isabel. The Inner Life of Syria. London: Henry S. King & Co, 1875.
(traduzione: Era meglio non partire, RCS Libri, 2008)
Mungo Park. The travels of Mungo Park. New York: J. M. Dent & co., E. P. Dutton & co., 1907.
(traduzione: Era meglio non partire, RCS Libri, 2008)
Twain, Mark. Roughing it. Toronto: Musson, 1899.
Blunt, Anne. A Pilgrimage to Nejd, the Cradle of the Arab Race. London: J. Murray, 1881.